Com’era prevedibile ricevo da ieri una telefonata ogni dieci minuti di amici che si dicono sorpresi, avviliti, sconcertati o anche solo stupiti della decisione di Fini di unire le forze con Berlusconi. Tutti dicono “la decisione di Fini”, a sottolineare che loro, quella decisione, non l’hanno presa, anche perché nessuno gli ha chiesto il parere. E sono, come in passato, disorientati, per la sempre presente paura di perdere se stessi.
Frequento giornalisti che scrivono di politica da anni e so come lavorano. Li conosco di persona. Sono quasi tutti antifascisti, più o meno consapevoli, più o meno viscerali. C’è quello che ricordo dal collettivo del Tasso, l’altro del collettivo del Giulio Cesare. Un altro era del Pdup o di autonomia operaia, molti sono troppo giovani per aver preso parte alla stagione dell’odio e rimpiangono l’occasione persa e il fatto di non aver mai avuto una chiave inglese sulla quale mettere le tacche dei fascisti sprangati. Ci odiano e si fanno beffe di noi. Giocano con noi. Li sento chiacchierare e ridere, raccontandosi l’un l’altro cosa scriveranno, annunciando l’ennesimo strappo, la nuova svolta, usando parole come “abbandono”, “tradimento”, oppure le fanno dire al testimonial di loro scelta, il più anziano possibile, il più accorato, oppure una donna che ricorda i bei tempi che non torneranno, o qualcuno che vuol solo farsi pubblicità. Si dicono “vedrai domani che succede!” e ridono alle nostre spalle, perché giocano con noi come i bambini che mettono il fuoco ai formicai per guardare le povere bestioline che corrono su e giù prese dal panico. Alcuni non hanno fatto altro per dieci anni e ne godono con vero sadismo. Non scrivono sul Manifesto, ma sul Messaggero, sulla Stampa, sul Corriere della sera, su Repubblica, sull’Espresso, ma anche sul Giornale e su Panorama. Altri sono in Rai, molti lavorano a Mediaset e così ci sparano alle spalle, mentre i loro compagni ci sparano in faccia.
A ben vedere scrivono sempre la stessa cosa, ci annunciano la Fine che si approssima, la nostra apocalisse dei significati, attraverso la scomparsa dei simboli, ci annunciano l’oblio. Ci annunciano ciò che auspicano da sempre e che auspicavano, frustrati e delusi, i loro fratelli maggiori, i loro genitori e in alcuni casi persino i loro nonni. La nostra estinzione sulla terra, con qualsiasi mezzo, e la cancellazione del nostro ricordo. Ma dinanzi alla nostra sopravvivenza, durata mezzo secolo malgrado tutto e malgrado tutti, all’odio s’è aggiunta l’invidia, il risentimento, perché chi ha tutte le armi per piegare alla propria volontà la verità ufficiale e la memoria collettiva, trema di terrore dinanzi a chi sopravvive solo grazie all’ostinato ricordo. E pensa: “cosa accadrebbe di me e del mio mondo, se questi cocciuti “memori di sé” avessero un giorno anche i mezzi che abbiamo noi? Cosa resterebbe di noi, dei loro nemici di sempre, se un giorno anche loro potessero avere il diritto di insegnare a scuola la loro storia, di farci dei film, di “socializzare” il loro ricordo?” E tremano e vogliono che non accada.
Io non penso che un partito sia la mia storia. Penso che un partito sia un mezzo di trasporto, che si usa per fare il percorso necessario. Non potrei mai pensare che il mio sangue, i miei valori, i sogni di tutte le generazioni che mi hanno preceduto e le loro sofferenze, possano essere imprigionate in una cosa piccola e meschina come un partito. La mia casa è l’Italia e a volte nemmeno mi basta, voglio anche l’Europa e da lì voglio segnare il mondo. I miei martiri non sono morti per un partito – o per un simbolo di partito – né per una percentuale di voto, per un certo numero di seggi in più o per permettere ad uno – o a me! – di sedere su una poltrona. Chi fa appello al sangue, ai valori, alla “nostra storia” per farsene uno sgabello che lo avvicini al seggio è un miserabile infame. E purtroppo sono moltissimi, nascosti dietro parole d’ordine e simboli eterni. Basta ipocrisie, basta schizofrenie. Quando ero ragazzino c’erano quelli che per fare i nazisti giravano con la croce di ferro che avevano comprato su una bancarella a Portobello Road. Qualcuno aveva affrontato l’inferno del fronte russo per guadagnarsi quella medaglia e loro pensavano che bastassero le due sterline che avevano dato a un mercante armeno per ostentare la stessa gloria… Indossare la pelle del leone o del lupo può fare impressione ai paesani ignoranti, un lupo o un leone non ti scambia per uno dei suoi, anzi, ti riconosce e ti odia per lo scempio che fai ogni giorno della pelle di suo fratello. E ti vorrebbe uccidere. I miei morti stanno nel mio cuore e nella mia vita di tutti i giorni, non stanno seppelliti in una sede di partito. Il mio dovere non è “commemorarli”, perché le commemorazioni ti mettono in pace con te stesso e ti permettono di ricordare il tuo dovere solo una volta l’anno e fare nel resto dei giorni tutto lo schifo che ti pare. Io volevo morire per la Patria, ma non sono ancora morto. Vuol dire che la Patria da me pretende ancora qualcosa.
La Patria, che è sopra ogni cosa e oggi sta morendo. La Patria che sta sopra ogni parte di essa: partiti, famiglie e individui. Sopra la Patria c’è solo Dio. Bisogna combattere per creare un mondo migliore per i propri figli o per preservare il mondo dei propri antenati? Tutt’e due. Ma bisogna capire che esistono solo il passato – che è andato via e non torna – e il futuro, che non è ancora arrivato. Il presente è un’illusione. Chi vive il passato nel presente è malato e si nega il futuro. Chi si ferma è perduto. Se avanzo seguitemi, se indietreggio sparatemi. Il fascismo non è mai ieri è sempre domani. Onorare i morti non è portare per sempre i loro corpi sulle spalle, ma dargli degna sepoltura perché siano liberi di andare oltre, nella loro corsa verso il cielo. Onorare i martiri significa arrivare lì dove loro erano diretti, non erigere una torre dove sono caduti e restarci in eterno.
E per andare, più lontano e più veloce, si scende dalla diligenza per prendere il treno e giù dal treno per prendere l’aereo: i mezzi non sono sacri, lo è solo il fine. E il fine è salvare la Nazione e sconfiggere i suoi nemici. L’Italia è ancora da fare e soprattutto gli italiani. Io ho nostalgia di tutto, mi è difficile staccarmi da qualsiasi cosa. Ma le cose si muovono malgrado me e se resto fermo non servo a nulla. E una volta che mi sono preso delle responsabilità nei confronti di altro e di altri, che diritto ho a restare seduto a piangere sul passato che si allontana insieme alla gioventù e tutte le persone care che a poco a poco sono sempre di meno? Il dovere del soldato è vincere, non è morire nella battaglia disperata. Anche se a volte questo sembra più desiderabile. Il soldato deve battere il nemico, perché se invece cade, lascerà senza protezione la sua terra, la sua donna e i suoi figli e – peggio ancora – i figli degli altri – e avrà così guadagnato la gloria ma perso l’onore, perché il dovere del soldato è combattere per la Patria, non per acquisire una medaglia e l’ammirazione delle signorine. Io non posso stare un giorno senza combattere: per la Patria, per la sua salvezza e per il suo onore, che sono anche la salvezza dei miei figli e l’onore dei miei padri. Se il nemico usa i missili, io voglio i missili. Se hanno il nucleare, userò il nucleare. Chi va in giro vestito da cavaliere antico, o coperto di alamari, farà sicuramente più bella figura, ma in battaglia non serve a niente. Per sorprendere il nemico bisogna mimetizzarsi e coprirsi la faccia di fango. La vittoria, se non è solo per goderne in privato, è un dovere. Se è in gioco la sopravvivenza della Patria, la sconfitta non è un opzione accettabile. Se le cose cambiano e il mondo continua a girare e facciamo fatica a stargli dietro, possiamo e dobbiamo provare rabbia, ma non possiamo frignare e dire “basta, non gioco più”. Chi diserta perché il suo esercito ha modificato l’uniforme, non può poi andare a dire a quelli che continuano a combattere che il vero eroe è lui…
di Marcello de Angelis - tratto da www.destrasociale.org
venerdì 22 febbraio 2008
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2 commenti:
Detto da uno come De Angelis, le ragioni sono convincenti, però non dimentichiamo che anche i simboli hanno la loro importanza perchè rappresentano la storia, l'identità e il senso di appartenenza di una comunità umana. Le persone si riconoscono anche dalla loro identità e i simboli ne fanno parte.
Al nord però qualcuno o ha fatto male i conti o ha consegnato gli elettori di destra alla Lega. Il successo della Lega che ha tolto voti al PdL era prevedibile perchè la mancanza di un partito dalla forte identità come a.n. ha portato gli elettori di destra a trovare nella Lega un partito fortemente identitario.
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